Gundam
Dario Oliviro - un giornalista di Repubblica - stà compiendo in queste settimane un viaggio in Giappone sulle orme dello scrittore Murakami,si è recato anche a Odaiba....
Se non fosse per il manifesto appeso all'entrata di un manga shop di Shibuya forse si poteva continuare a ignorare che il tempo passa, che sono passati trent'anni da quel primo episodio arrivato in Italia. I quarantenni di oggi forse non ci hanno fatto caso, ma sono passati trent'anni da quando è nato Gundam. "Amici miei sono Peter Rey, comandante del robot…": la sigla resterà in testa tutto il giorno ormai. Certi ricordi, come direbbe Haruki Murakami, sono semplicemente rimasti in fondo da qualche parte. Non si perdono, rimangono lì come in un grande ufficio degli oggetti smarriti che prima o poi qualcuno verrà a reclamare. "In quel mondo potrà ritrovare le cose che ha perduto in questo". Gundam l'avevamo perso da qualche parte. Lontano nei giorni di scuola quando l'avevano messo anche nelle sorprese delle patatine. Piccoli personaggi di gomma. Si trovavano sempre i Guntank e i Mobile Suite nemici, ma mai il Gundam. Ne avevano
messo uno ogni milione di sacchetti.
Il manifesto mostra un Gundam ad altezza naturale, cioè alto come un palazzo, costruito dettaglio per dettaglio e fatto atterrare a Odaiba, nei giardini Kaihin-koen. Per arrivarci una monorotaia attraversa il Rainbow Bridge, il ponte dell'arcobaleno come quello che nella mitologia vichinga univa la Terra ad Asgard, la città degli dei. L'hanno fatto davvero, Gundam è là, in mezzo a un prato senza erba, sotto l'arbatto del sole, spalle al fiume. Qualche gazebo vende un merchandising minimalista a voler essere chic, deludente per qualsiasi fan. Gli americani con in mano un anniversario del genere avrebbero costruito un parco a tema grande come una città. I giapponesi sono così. Il robot è perfetto, è il modello del '79 al quale molti altri ne seguirono dando vita a una delle serie animate più longeve della storia.
I robot che cambiarono la nostra vita. Prima che arrivasse il Gundam lo shock era già stato forte: Goldrake, Mazinga, Daytarn 3. Ma quelli erano shogun, robot samurai in armatura o ronin rimasti senza il loro pianeta e venuti a combattere per la Terra. Erano il bene, erano le sentinelle contro i mostri venuti da fuori o da sotto terra. Gundam cambiò tutto. Era il primo super-robot con super problemi. I nemici erano uomini, la guerra era una guerra civile, la macchina era al servizio dell'uomo ma l'uomo doveva decidere che cosa era giusto fare. Dopo Gundam l'animazione giapponese non fu più la stessa. L'ambiguità, i confini incerti tra amici e nemici crescevano insieme alla complessità dei robot che si affaccivano sulla scena. Venne Evangelion, tutto cambia, niente si distrugge. L'uomo, la macchina, il cyborg, Kyashan, Ghost in the Shell. E Murakami, ancora Murakami.
Al protagonista di La fine del mondo e il paese delle meraviglie hanno impiantato un programma nel cervello che gli consente di connettersi con il proprio inconscio, immergersi nel suo caos primordiale. Come tutte le cose pensate dall'uomo, l'invenzione ha risvolti militari e strategici. Interesse nazionale e dubbi etici, lotta per il potere e coscienza individuale. Dilemmi come se sia giusto riscrivere una nuova storia nella psiche perché le storie, vere o false che siano mettono ordine al caos e convincono gli uomini ad andare avanti. Ogni esercito ha bisogno di una bandiera. "Il disegno che forma la sua coscienza è la fine del mondo. Nella sua coscienza il mondo sta finendo. Per dirla al contrario, la sua coscienza vivrà nella fine del mondo. Cioè in un mondo in cui mancano tutte le cose che esistono in questo. Non ci sono né il tempo, né lo spazio, né la vita, né la morte, né valori dal significato certo, né il senso di se stessi".
Il tempo è passato, sono trent'anni. Eravamo uomini che sognavamo di entrare dentro un robot. Ora siamo cyborg. Il robot è dentro, l'uomo è rimasto fuori.
Dario Olivero.
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