Con genialità e un pizzico di follia, la Monáe si è fatta letteralmente divorare dal suo robotico alter ego. Vitreo e inespressivo lo sguardo, innaturale il suo perfetto incarnato d'ebano, inquietante l'abbigliamento androgino, meccanica e anaffettiva la voce che racconta la storia della ragazza con la testa piene di idee che frequentava l'American Musical and Dramatic Academy e sognava di sfondare a Broadway. "Prima di tutto volevo essere me stessa", esordisce, "inventare un mondo popolato dai miei personaggi, produrre i miei spettacoli: questo mi ha fatto prendere le distanze da Broadway. Se l'artista non corre questi rischi, finisce sempre che assomiglia a qualcun altro". L'impulso artistico di Janelle, approdata da Kansas City ad Atlanta e incoraggiata dalle migliori menti della black music locale (da André 3000 a Erykah Badu), è pilotato da una massima di Fritz Lang: "Il mediatore tra la mente e le mani deve essere il cuore". Anche la copertina del suo disco - il più promettente esordio black da vent'anni a questa parte - è modellata sulla locandina di Metropolis. Durante tutto il nostro incontro continua a ripetere con insistenza "I'm the mediator", e a citare precisi riferimenti bibliografici che vanno da Ray Kurzweil, l'informatico, inventore e saggista dell'Età delle macchine intelligenti, e Octavia Butler, una delle rare scrittrici afroamericane ad essersi cimentata con successo nella narrativa di fantascienza.
Al pubblico, prima dei suoi concerti, viene distribuito un pamphlet con i Dieci comandamenti di un androide, in cui si invita lo spettatore ad "abbandonare qualsiasi preconcetto sull'arte, razza, genere, cultura e gravità". Uno sguardo ai clip su YouTube ed è subito chiaro che le aspirazioni della Monáe non si limitano alla musica. Nella sua fervida immaginazione la vicenda di Cindi è già un film. "Tutto questo è decisamente cinematografica", ammette. "La storia di Cindi, la mia musa, si presta a diversi adattamenti, quello musicale è già realtà. Lei è un'androide che s'innamora di un umano, il che è peccato nella città di Metropolis. E per questo rischia di essere disassemblata; anche se è proprio lei il cuore che media tra il braccio e la mente. È una storia che ho scritto per la gente, perché impari a rifiutare le categorie che ci dividono", conclude con lo sguardo fisso nel vuoto. E se gli androidi fossero già tra noi?
(17 agosto 2010) Articolo di Giuseppe Videtti tratto da Repubblica.
No comments:
Post a Comment