Ha scelto una manager ferrata in comunicazione, che viene dalla tv (Kirch e Stream, Sky, Time e Deutsche Telekom)per avviare la sua “filiale italiana”, al debutto il 2 ottobre
a Milano, nel ricostruito (con 15 milioni di euro) Teatro Nazionale, dove si darà La bella e la bestia che in 13 anni ha commosso 25 milioni di spettatori grazie alle musiche dell’8 volte Oscar Alan Menken. Cinque milioni per l’allestimento, in scena Arianna e Michael Altieri. «Stage ha importato in Europa, e ora in Italia, un modello di business alla Broadway:grandi mezzi e qualità artistica, teatri di repertorio e titoli collaudati a livello mondiale.
Però le compagnie sono scelte nei Paesi dove si va in scena, e si recita in
quella lingua. Per noi la stagione al Nazionale, che ora avrà 1.500 posti e un apparato di palcoscenico hi-tech, in grado di supportare un cambio di scena ogni sette minuti, sarà fino a maggio 2010 basata sul solo spettacolo d’avvio, un grande
classico della Disney per il pubblico familiare. Ma non soltanto per i bambini».
D: L’obiettivo non è poco ambizioso...
R: «Dobbiamo portare a teatro almeno 300mila persone», continua Salambè, «delle quali metà non ci sono mai andate o quasi. E per far questo occorre de-sacralizzare il teatro. Ancora molti, troppi, lo vivono come un’esperienza impegnativa, difficile. E in più gli spettatori dobbiamo trovarli in un raggio di 150 km intorno a Milano.
Le prime mille prenotazioni ci sono arrivate dal Canton Ticino ». E questo è solo l’inizio dell’opera. Barbara sta cercando a Roma un teatro da acquisire e trasformare
in sede stabile “di repertorio” numero due. «Ma quella piazza, ci sono nata, vengo da lì, mi pare più difficile.
A cominciare dalle strutture: molte di quelle private sono fatiscenti, l’unica adatta è il Sistina ma ha una storia, un cartellone, una politica del pubblico consolidati. Non è per noi.
Perciò non escludiamo un’opzione nuova, da costruire». Entro l’anno prossimo, poi, si vuol attivare una terza compagnia, in tour permanente in Italia con altri spettacoli.
D: Come mai una manager di successo abbandona la tv?
R: «Questa è la mia quarta start-up, e, giuro, sarà anche l’ultima: c’è gran soddisfazione, ma si fa una fatica tremenda. La tv l’ho lasciata, dopo quasi vent’anni, perché è finita una fasedi sviluppo, di innovazione anche frenetica: nei prossimi anni cambierà poco, soprattutto in termini di contenuti e linguaggio
La tv ha trovato un suo assetto, e lì si è fermata. Così si è chiusa una fase bella, interessante, della mia vita professionale: ma ho capito che il mio posto ormai non era più lì. E non volevo far certo la pensionata con lo stipendio».
D: Poi il musical, il teatro popolare ha bussato alla sua porta...
R: «Il teatro mi attrae molto per il suo aspetto fisico, materiale. A cominciare dall’andar su e giù per il cantiere di questa sala, altra esperienza non proprio frequente per una donna. Ormai siamo pronti. A inizio agosto iniziamo a provare, finite le selezioni, lunghe, anche troppo, a Roma e a Milano, in mezzo a tremila aspiranti attori e ballerini. Del teatro mi piace che ogni sera si va in scena, e ci sono interpreti in carne e ossa, tecnici,
musicisti (avremo in sala un’orchestra dal vivo di una quindicina di elementi). Il mondo sta diventando sempre più virtuale, dai vari tipi di tv a Internet, dai social network ai contenuti su i-Pod e simili: così la gente è tornata a cercare emozioni dirette,
da vivere in prima persona, con altre persone. Vuole interpreti da vedere, quasi toccare, ogni sera. Ama essere in platea, commuoversi, partecipare, col cuore, a delle storie. In un certo senso, uno spettacolo è come una fiction tv che puoi vivere standoci dentro.
Poi c’è il peso, evocativo, della musica. All’inizio la spinta al live è venuta
infatti dai concerti rock: ora dilaga in teatro, dove hanno successo il
musical e la danza».
Stage Entertainment Europa ha oggi un fatturato di oltre 600 milioni di euro
l’anno, 4mila dipendenti, 30 teatri di proprietà fra Olanda, Germania, Francia,
Spagna, Russia, Gran Bretagna.
Mette in scena 40 spettacoli al giorno, l’ultimo dei quali, Sister act, ha esordito
pochi giorni fa a Londra, con musiche diverse dall’originale americano e
Whoopy Goldberg in veste non più di attrice ma di supervisore artistico, a garantirne la qualità.
Lo vedremo, probabilmente, anche sulle nostre scene.
D: Quella italiana è impresa grande e forse rischiosa: il musical, di gran lustro negli anni ’50 e ’60 nella versione Garinei & Giovannini, di recente è tornato grazie alla Compagnia della Rancia, a Cocciante, a spettacoli come Tosca o Nôtre Dame.
Ma le cifre, qui, fanno più impressione: ce la farete?
R: «In Italia, quando tutto sarà ben attivato, puntiamo a un giro d’affari di 50 milioni di euro l’anno. Ma questa scommessa possiamo vincerla solo allargando, raddoppiando il “solito” pubblico. I nostri punti di forza sono la qualità degli show, le
garanzie internazionali, l’esperienza decennale di Stage in questo business. E un teatro bello, nuovissimo, che non vedo l’ora di inaugurare: il 20 settembre si va in sala, davanti al pubblico, con gli interpreti, i costumi e le scene. Sarà un’emozione
vera: qui nulla arriva precotto, registrato, come in tv. È nostro il teatro, lo spettacolo, il rapporto col pubblico. Una sfida bella anche sul piano umano: lasciatemelo dire, sono orgogliosa, come donna, d’averci portato dentro passione, leggerezza e rispetto reciproco. Con tutti»
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